La location - Fabbrico (Re)
Fabbrico è un Comune di 6.100 abitanti, insediato in quella che viene definita la Bassa Reggiana, situato a 30 km da Reggio Emilia. E’ un Comune che ha tradizionalmente costituito un polo di attrazione economico, per l’importanza dei suoi stabilimenti industriali, che hanno portato e portano ad un consolidato pendolarismo di centinaia di persone. La centralità di Fabbrico, dall’immediato dopoguerra fino alla metà degli anni ’80, si è consolidata anche a livello culturale, grazie ad un investimento ingente sui progetti artistici e culturali: dal teatro, alla cinematografia, alla musica, fino agli incontri-dibattito con personaggi della cultura italiana ed internazionale.
Grandi nomi. Una storia illustre
Per anni gran parte della vita culturale della zona ha conosciuto sostanzialmente un solo nome: Teatro Pedrazzoli. Un immobile costruito nel pieno centro storico negli anni ’50, interamente con opera del volontariato, e gestito per decenni dal Circolo “Amici del Cinema”, associazione che contava più di 3.500 soci. Hanno calcato le scene del Pedrazzoli attori come Dario Fo, Franca Rame, Gian Maria Volontè, scrittori come Gianni Rodari, registi come Zavattini.
La riapertura
Dopo dieci anni di chiusura, a seguito di un ingente e prezioso lavoro di ristrutturazione, il Teatro Pedrazzoli, ora divenuto Comunale, riapre i propri battenti con una stagione inaugurale nel marzo 2004, con la gestione affidata alla Cooperativa di volontari Borgovecchio. Nel febbraio del 2016 la gestione viene presa in carico dal Centro Teatrale NoveTeatro di Novellara. L’obiettivo per l’immediato futuro dell’Amministrazione Comunale è quello di avvalersi del prestigioso spazio del Pedrazzoli identificando in esso il fulcro della vita socio-culturale di Fabbrico e polo culturale a livello provinciale.
Storia del Teatro Pedrazzoli
Nell’immediato dopoguerra si assiste in Italia al proliferare di numerosi club e circoli di diversa specie, nati soprattutto dal desiderio e dall’entusiasmo da parte della gente di associarsi, di organizzarsi insieme, dopo un periodo in cui le elementari libertà civili e personali erano state represse.
Fabbrico, importante centro della bassa emiliana, ha rappresentato un caso forse unico in Italia di associazionismo culturale/sociale. Per capirne l’importanza e per comprenderne la rilevanza e la crescita culturale che ha saputo generare, occorre partire dalle origini, dagli anni immediatamente successivi alla liberazione.
Il Teatro Verdi esisteva già ed apparteneva alla famiglia Landini, proprietaria dell’unica grande realtà industriale del paese, situata proprio al centro di Fabbrico. Si trattava di una vecchia costruzione in legno nata nel 1925 per ospitare la filarmonica locale e che al momento della liberazione venne data in gestione e in affitto per 5 anni al fronte della gioventù, organizzazione giovanile unitaria sorta dalla resistenza. Era il momento dell’entusiasmo per il governo unitario di tutte le forze politiche antifasciste. In questo clima dominato dalla speranza in una società migliore, sfuggiva l’importanza per tutto il movimento democratico di ottenere non soltanto la gestione del locale, ma anche la proprietà della sala e soprattutto la licenza per proiezioni cinematografiche, cosa che in futuro si rivelerà decisiva per la vita culturale del paese.
Il periodo della concordia nazionale finì però ben presto: nel 1947 i comunisti ed i socialisti vennero esclusi dal governo; mentre sul piano internazionale il mondo si divideva in due blocchi contrapposti. Eravamo agli inizi della Guerra Fredda.
Tale situazione veniva a riflettersi anche all’interno del paese Italia portando alla frattura del fronte antifascista.
Anche a Fabbrico le cose non andarono diversamente: alla scadenza del contratto quinquennale del Teatro Verdi i Landini rifiutarono di concedere ancora la gestione all’A.N.P.I. che era subentrata al fronte della gioventù, e cedette il locale e la licenza ad un privato. Venne così a mancare quel punto d’incontro politico, sociale e culturale indispensabile al paese. La rabbia e l’indignazione per l’ennesima negazione di un diritto seppero però trasformarsi in volontà di lottare per raggiungere un obbiettivo concreto: costruire una nuova struttura in cui svolgere attività rivolte a tutto il paese. L’impegno era molto pesante considerata la precaria situazione economica di quegli anni.
Nel 1949, dopo assemblee popolari che vedevano la partecipazioni di amministratori, organizzatori e forze politiche, si decideva di costruire su terreno di proprietà della locale cooperativa di consumo un edificio che potesse soddisfare le esigenze della vita culturale-associativa di Fabbrico. Il costo preventivo del progetto era per allora proibitivo: più di 20 milioni di lire, ma con la collaborazione entusiastica dei cittadini i lavori ebbero immediatamente inizio.
A dimostrazione di quanto fosse sentita l’esigenza di costruire un nuovo locale, basti dire che il materiale necessario fu recuperato quasi esclusivamente dalla demolizione di vecchie costruzioni e tutta la mano d’opera era gratuita, prestata da centinaia di operai e contadini nei giorni festivi o dopo il normale orario di lavoro. Nello stesso tempo si organizzava una raccolta di fondi per far fronte alle spese, attraverso riunioni di caseggiato e di sezione di partito: si sollecitava un impegno personale attraverso il versamento di quote mensili fisse che andavano dalle 1.000 alle 500 alle 200 lire con rilascio di ricevute corrispondenti a titolo di azione come costruttori del teatro.
In un solo anno, anche grazie al contributo dei partiti, in primo luogo del P.C.I, si raccolsero più di 6 milioni di lire per il finanziamento del teatro.
La vita del teatro incontrò però subito difficoltà burocratiche che nascondevano una precisa volontà politica da parte di quelle forze conservatrici che seguivano con apprensione il realizzarsi di uno strumento culturale a disposizione dei lavoratori.
I lavori vennero sospesi in due circostanze: la prima volta per sei mesi nel 1949, causa lo strano smarrimento dei progetti presso il ministero competente a cui erano stati inoltrati per l’autorizzazione. Oggi la cosa appare grottesca, ma tenendo sempre conto del clima politico di quegli anni risulta chiaro come la burocrazia tornasse utile a chi tendeva ad ostacolare un progetto d’iniziativa popolare. La caparbietà dei fabbricesi, però, fu più forte: si rifecero i progetti e ricominciarono i lavori.
La seconda sospensione avvenne su ordine della magistratura il 18 maggio 1950 per un periodo di tre anni, a causa di un mortale incidente; Franco Pedrazzoli durante la demolizione di un ponte fuori uso per reperire materiale da adibire alla costruzione, morì accidentalmente, mentre altri due suoi compagni (Santino Lusuardi e Defendo Lambruschi) rimasero gravemente feriti per il crollo improvviso di una parete.
Proprio durante questi tre anni di sospensione dei lavori veniva rimesso a nuovo e ampliato il Teatro Verdi e veniva inoltre aperto in un vecchio garage il Cinema Trieste dove trovò sede fissa una licenza ambulante; in tal modo la piazza di Fabbrico veniva coperta a sufficienza di licenze cinematografiche in base alle leggi vigenti che prevedevano una disponibilità secondo il rapporto posti-abitanti. Sembrava che non si potesse mai terminare l’opera, si discuteva animatamente in tutto il paese.
Finalmente nei primi mesi del 1953 , rimossi gli ostacoli burocratici che venivano frapposti, si riprendevano i lavori; C’erano difficoltà finanziarie enormi, determinate dal notevole aumento di costo delle materie prime. Si chiese un impegno ancora maggiore alla popolazione: sottoscrizioni a fondo perduto, lavoro straordinario e manodopera gratuita. Fu decisivo il contributo finanziario della cooperativa di consumo che divenne anche proprietaria del locale a tutti gli effetti legali.
Prima della fine del 1953 il nuovo teatro, ribattezzato Teatro Pedrazzoli, veniva ultimato ed inaugurato con un’affollatissima serata popolare.
Tuttavia questo teatro dotato di una capienza di 1.800 posti, non aveva l’autorizzazione per proiezioni cinematografiche pubbliche. Venne fatto ogni tentativo per ottenere la licenza, prospettandone persino l’importazione dall’Africa, ma l’ostilità e le pressioni dei gestori dei cinema locali e le solite difficoltà burocratiche, resero vano ogni sforzo: si ottenne l’agibilità del teatro e l’autorizzazione per spettacoli solamente teatrali, serate danzanti e musicali. Il teatro proseguì in questo modo la sua attività fino al 1957. Nel frattempo non tramontò l’idea di proporre cinema al teatro Pedrazzoli; una volta scoperto che in un paese in provincia di Bologna, a Medicina, esisteva un circolo che faceva attività cinematografica senza licenza.
Sulla scorta di questa esperienza si costituiva il 9 settembre 1957 il Circolo Amici del Cinema, che prendeva in affitto il Teatro Pedrazzoli. Fine essenziale del Circolo era lo sviluppo e la diffusione della cultura cinematografica. La qualità di socio si acquista facendo domanda al Consiglio Direttivo ed è riconosciuto dal rilascio di una tessera individuale e il pagamento della quota poteva essere rateizzato mensilmente (nella stagione ’57/’58 la quota sociale mensile era di 600 lire). La tessera diventa il documento personale ed indispensabile per l’accesso al locale, questa severità nel controllo è necessaria per dimostrare il carattere privato dell’attività cinematografica, motivo principale di 13 anni di dispute legali, polemiche, sequestri e processi. Infatti proprio la sera dell’inaugurazione il 19 Settembre 1957 la Questura sequestrò il proiettore per attiva cinematografica ABUSIVA. Il processo si concluse il 20 Dicembre 1957 con l’assoluzione degli imputati, trattandosi appunto di proiezioni private. Ordinato il dissequestro l’attività riprese il 1 Febbraio 1958, con l’arrivo di un nuovo apparecchio a 35 mm. L’attività proseguì quindi senza interruzioni fino al 25 Luglio 1968. Nel frattempo si verificava un progressivo avvicinamento della popolazione alla vita del Circolo, grazie anche ai costi particolarmente ridotti. Dagli iniziali 700 soci si arrivò presto ai 2600 del 1958, più o meno la metà della popolazione di Fabbrico (5300 abitanti).
Questo successo urtava parecchi interessi politici e commerciali: il 20 dicembre 1958 su “Gente” compariva una lettera anonima da Fabbrico a favore delle azioni repressive verso il Circolo, reo di gestire ‘un mastodontico teatro e locale cinematografico’ con l’appoggio del PCI, in un paese dove già c’erano 2 cinema e nessun ospedale. Questo era visto come un ottimo affare per il PCI che poteva così beffare le leggi sulla cinematografia e fare facilmente propaganda tramite ‘squallidi cortometraggi made in URSS’. Tutto questo a spese dei piccoli esercenti di provincia che vedevano nella possibilità degli associati di usufruire del loro tempo libero con minima spesa una terribile minaccia e un vero esempio di concorrenza sleale. Come conferma il Sig Ghizzoni, proprietario e gestore del locale Cinema teatro Verdi, in una lettera apparsa nel 1970 su 2 importanti riviste del settore a diffusione nazionale come ‘Lo spettacolo’ e ‘Cinema Oggi’.
Conseguenza di tutte queste pressioni, e non ultima quella della Questura, era un boicottaggio sistematico delle principali case di distribuzione cinematografiche. Situazione sbloccata solo dall’appoggio fornito al Circolo dal CREER ( Consorzio Regionale Emiliano Esercenti Cinematografici ) che permise in questo modo di fornire ai soci una programmazione ricca e continuativa.
Col crescere progressivo del numero di Soci ( agli inizi del 1959 si era arrivati a quota 3074 ) crescevano di intensità pressioni e indagini delle autorità di Polizia, che indagarono sui più svariati fronti dal sistema di tesseramento ( tessere gratuite e praticamente imposte con la forza ) alle attività della Coop di consumo ( con relativo sequestro dei registri ).
Il Circolo Amici del Cinema stava facendo di Fabbrico un importante punto di riferimento per la programmazione culturale, non solo cinematografica, dell’intera provincia. E l’eccezionalità della sua vicenda stava ormai assumendo rilevanza nazionale. In quegli anni ha luogo anche l’affiliazione del Circolo all’A.R.C.I. E mentre la Suprema Corte di Cassazione assolveva un circolo di Molinella ( perché un associazione privata è tale anche se conta un elevato numero di soci ) nel Febbraio del 1967 venivano di nuovi contestati al Circolo i reati di apertura e gestione di una sala cinematografica senza licenza. Questa battaglia legale si concluse nel Luglio del 1968 col sequestro della cabina e proiettore del Circolo, ha inizio però in questo momento una battaglia civile che coinvolse rapidamente la popolazione di Fabbrico e ben presto valicò i confini del piccolo paese. Come si può vedere dai quotidiani anche nazionali di quei giorni.
La prima reazione fu quella di convocare immediatamente l’assemblea dei soci, che approvò all’unanimità la proposta della convocazione di una pubblica manifestazione. Si chiedeva da parte dei fabbricesi l’adesione da parte delle autorità e dei rappresentanti di enti e circoli democratici. E così fu: oltre alla solidarietà da parte di forze quali PCI, PSIUP, PSI, UDI, ANPI, ARCI e innumerevoli altri circoli del Cinema, è da segnalare la significativa presenza dell’allora Sindaco di Reggio Emilia, Renzo Bonazzi, grande conoscitore della realtà cinematografica del tempo ed animatore egli stesso di un circolo del cinema.
La cosa più significativa di quel periodo fu che la lotta del Circolo non rimase circoscritta alla realtà provinciale ma si estese a tempi più ampi riguardanti il discorso della cultura di massa in generale. Il 68, nel cinema soprattutto, evidenziava l’esigenza di un profondo rinnovamento, nelle strutture e nei contenuti. Non a caso è questo il periodo della contestazione alla XXIX mostra cinematografica di Venezia e della nascita di un comitato di boicottaggio del Festival, reo di aver assunto ormai un carattere eccessivamente mondano e mercantile anziché diventare un vero e proprio organismo di diffusione della cultura. E’ questo anche il periodo dei cinegiornali liberi promossi da Cesare Zavattini. Proprio in questo clima di fermento culturale il Circolo amici del cinema di Fabbrico partecipò con una delegazione all’occupazione del Palazzo del Cinema. Sull’onda degli eventi si arrivò così all’autunno del ’68 che segnò una svolta nella lotta e negli obiettivi del Circolo, che vedeva una possibilità concreta di gestione della lotta per libertà della cultura. In questo contesto si inseriscono le importante adesioni non solo morale all’appello di Fabbrico da parte di numerosi intellettuali e uomini di cinema che visitarono il circolo e con i cui soci si trovarono a discutere. Un nome su tutti, anche per il tipo di impegno ed energie profuse è senz’altro quello di GianMaria Volontè. Non da meno le presenze di Dario Fo, del regista francese Marc’O o di Edmonda Aldini fra gli altri. L’incontro di questi intellettuali coi cittadini direttamente interessati non fu però sempre facile, anzi spesso finiva per trasformarsi in scontro di idee e opinioni ( i cittadini si sentivano in certi casi addirittura giudicati e criticati come troppo accondiscendenti verso la cultura borghese ).
Intanto si riprese però l’attività cinematografica e si cerarono allo stesso tempo alcuni ‘ comitati d’azione ‘ o gruppi di lavoro sulle varie problematiche ( informazione, agitazione, rapporti studenti-operai ). Nacquero così ben presto un ‘radiogiornale libero’ e un atelier popolare. Ma cosa più importante di tutte si decise di mandare a Roma una delegazione che doveva portare in Parlamento una petizione in cui tutta la popolazione (o quasi) protestava per la persecuzione che da anni colpiva il Circolo. Nel contempo a Fabbrico la mobilitazione andava crescendo fino ad arrivare ad una nuova assemblea seguita da un’imponente manifestazione ( più di 2000 persone ), seguita da una nuova manifestazione, questa volta in occasione della cessazione dei bombardamenti USA in Vietnam. Fabbrico sempre più centro della lotta culturale e popolare del momento e quindi reazione immediata della Pretore di Correggio : 34 denunciati ( giovani, operai, studenti e dirigenti politici fabbricesi ) per manifestazione non autorizzata e per adunata e grida sediziose. Mossa inutile e incapace di spegnere la lotta infatti si ebbe come immediata reazione una manifestazione di solidarietà e la costituzione di un comitato per la difesa dei 34.
Grazie così alle tante battaglie, manifestazioni e discussioni, il Circolo si era riconquistato, nonostante i sigilli ancora intatti sulla cabina di proiezione, la propria libertà e la protesta aveva superato gli stretti confini del paese e della provincia per arrivare fino a Roma dove la delegazione Fabbricese destò stupore perché si trattava della prima volta in cui un gruppo di lavoratori si rivolgeva al parlamento per ‘ rivendicare il diritto ad una cultura libera e alla sua autogestione ‘.
Si era tornati a far vivere il Circolo in tutte le sue attività da una programmazione cinematografica precisa coerente ( vedi i tanti e importanti cicli proposti ) al teatro fino alle feste popolari, mentre si continuava a lavorare dal punto di vista ‘politico’ con la nascita di una università popolare e la creazione di 3 comitati con diversi compiti.
Attraverso questo fiume in piena di esperienze si arrivò al 21 Dicembre 1970, allorquando dopo 2 anni e mezzo di lotte, il Pretore di Reggio Emilia emise una sentenza di assoluzione nei confronti del Circolo del Cinema e dei cittadini di Fabbrico denunciati in relazione alle vicende della lottà e ordinò finalmente il dissequestro della macchina di proiezione. Il Circolo poteva così riprendere la sua attività, che di fatto non aveva praticamente mai cessato.