Sabato 2 dicembre ore 21
Biglietti: Intero 17€ / Ridotto 15€ / Under 18 anni 10€






Con Carlo Roncaglia e con Andrea Cauduro
Chitarre Enrico De Lotto basso e Matteo Pagliardi
Batteria, testi e musiche Giorgio Gaber, Sandro Luporini
Arrangiamenti Accademia dei Folli
Scene Matteo Capobianco
Costumi Carola Fenocchio
Luci Mattia Tauriello
Regia Carlo Roncaglia
Produzione ACCADEMIA DEI FOLLI compagnia di musica-teatro
“Il signor G è un signor Gaber, che sono io, è Luporini, noi, insomma, che tentiamo una specie di spersonalizzazione per identificarci in tanta gente.” G.Gaber
Più che un omaggio al papà del teatro canzone, lo spettacolo è un viaggio che segue un impulso, un istinto; Di fronte all’immensa opera di Gaber e Luporini ci si sente un po’ persi e disorientati e
soprattutto folgorati dalla straordinaria, e a volte, straziante attualità dei monologhi e delle canzoni.
Gaber si affacciava sul ciglio di un baratro.
Oggi ci troviamo in quel baratro e siamo in caduta libera.
E allora ci siamo davvero abbandonati anche noi in questa caduta libera, con tutta l’incoscienza a disposizione, senza aver paura di sbagliare, di mostrare il fianco, di risultare inadeguati, inadatti.
E lo siamo senz’altro, in tutti i sensi.
In fondo è tutta una questione di fragilità, di saper accettare il disequilibrio, di non aver troppo timore di guardarsi davvero.
Il fatto è che il Sig. G non è un personaggio.
Il Sig. G siamo proprio noi.
Da un marciapiede di una città semi-deserta e buia alla penombra di una camera da letto, dallo spazio soffocante di un ascensore allo specchio del proprio bagno, eccoci a fare i conti con la nostra meschinità, con le nostre più profonde contraddizioni, con le nevrosi e le frustrazioni quotidiane.
Ma non è solamente una questione di sopravvivenza: Buonasera Sig. G parla anche di speranza, di un sogno che per quanto rattrappito è ancora lì, nutrito artificialmente e tenuto in vita con un accanimento terapeutico disperato.
Ha il polso debole e respira a fatica ma, nonostante tutto, è ancora vivo, l’uomo.
Abbiamo scelto accuratamente i testi e le canzoni ascoltando prima di tutto la pancia (come avrebbe detto Gaber stesso) e poi cercando il senso, il disegno finale.
Ad ogni replica questa ricerca continua, ogni volta troviamo un senso differente e il disegno ci appare diverso.
Cinico, scanzonato, violento, ironico, Gaber è ancora lì, sul palco, che oscilla dinoccolato cantando le paure e le speranze, le frustrazioni e l’incertezza del vivere, aspettando il momento giusto per spiegare le ali e spiccare il volo.